Daniele Davì

Italian Sounding, Made in Italy e OGM: chi imita chi?

Ci sono notizie che il caso o l’ironia decide di diffondere quasi in contemporanea o sulla stessa pagina e la loro presenza non si annulla a vicenda ma fa doppiamente male.

Made In Italy

La prima notizia.
L’ennesimo bilancio sui falsi “made in Italy” che oltre ad essere un enorme danno economico (oltre 60 miliardi di euro di fatturato) e di immagine è una vera e propria e minaccia alla cultura enogastronomica italiana del “buono, pulito e giusto” per dirla alla SlowFood.

La Coldiretti denuncia le ultime incredibili novità in fatto di Italian Sounding, contraffazione e falsificazione: l’onnipresente “parmesan” prodotto nei più disparati angoli della terra (USA, Canada, Australia, Giappone) e la sua progenie “parmesao” (Brasile), “regianito” (Argentina), “pamesello” (Belgio), il pomodoro di San Marzano made in USA o l’Aceto Balsamico di Modena cinese, il pandoro argentino, il salame veneto direttamente dalla cina, l’Asiago ancora made in USA o il prosciutto cotto nostrano fatto in Germania ed infiniti altri.
Per ogni prodotto enogastronomico tradizionale, protetto o garantito vi sono centinaia di tentativi di imitazione provenienti da più nazioni e più aziende per ogni nazione.
Cosa succede adesso? Che potrebbero diventare ancora di più e diffondersi anche più capillarmente con i nuovi kit per fare il Parmigiano Reggiano in casa (in Gran Bretagna, negli Usa o in Australia) o per produrre il Valpolicella ed altri vini a partire da polverine e mosto.

Perchè il cibo italiano è così imitato?
Per chi non avesse mai sentito parlarne, l’Italian Sounding è un fenomeno che permette ad aziende estere di commercializzare prodotti la cui immagine rimanda al Made in Italy ed alla conseguente idea di qualità, bontà, genuinità e raffinatezza di cui il prodotto italiano è da tempo emblema.
Il tutto senza doversi curare della qualità delle materie prime utilizzate, della tradizione nel processo di produzione, del rispetto dei disciplinari e delle regole del sistema produttivo italiano che tutela il consumatore come pochi, dell’identità del territorio e del suo rapporto con la materia prima e col prodotto finale, degli standard elevati, etc.

La seconda notizia. Oltre 600 imprenditori agricoli del mantovano (associati alla Confagricoltura) hanno firmato una “petizione pro mais transgenico Mon 810” al fine di poter coltivare il mais transgenico della Monsanto
in cui è stato inserito un gene (Bacillus thuringiensis) che produce una sostanza velenosa per alcuni insetti, proteggendo la pianta da flagelli e permettendo un aumento della produzione di almeno il 10% ed un costo per ettaro pari a “soli” 110 euro.

In continua crescita

I loro argomenti per sdoganare gli OGM continuano: i nostri nonni producevano 60 quintali di mais per ettaro, oggi con i nuovi ibridi si è riusciti ad arrivare a 120 quintali e con l’OGM si può arrivare oltre i 150. Inoltre non è vero che le colture OGM inquinano o bloccano il biologico: negli Stati Uniti, dove si coltivano mais, soia e cotone al 100% OGM, il biologico è in continua crescita, come in Brasile o in Argentina. Non dimentichiamo che il “grano duro” è stato “inventato” grazie al bombardamento nucleare – dicono.

Gli ogm sono già nel Bel Paese perchè “il 90% della soia mangiata dai nostri animali è geneticamente modificata, come il 40% del mais”: parole importanti che riguardano la campagna mantovana ovvero la più grande “fabbrica” italiana di formaggi e carne: 500.000 vacche da latte, 1.3 milioni di maiali, 150.000 bovini da carne. Viene da qui la materia prima per la lavorazione del Parmigiano Reggiano, del Grana Padano, del Prosciutto di Parma, del San Daniele e così via.

Facciamoci del male.
Se l’eccellenza alimentare italiana nel mondo è dovuta alla differenza delle nostre materie prime, ai secoli di tradizione, a un territorio unico al mondo in cosa si differenzierà il prodotto Made in Italy se i primi a chiedere l’uso di materie prime estere (tipo bresaola fatta con zebù brasiliano) o uguali (tutte geneticamente uguali) a quelle estere, sono i produttori italiani? A che titolo potremo ancora farlo?

Dicono bene infatti Ettore Prandini, presidente regionale della Coldiretti e Mauro Fiamozzi, direttore della sede provinciale: “In questo modo (se si coltivassero ogm – ndr) si uccide la nostra agricoltura. Lavorare in modo tradizionale è difficile ma senza questo impegno non ci può essere Made in Italy. Con gli ogm le nostre coltivazioni sarebbero omologate a quelle di tutto il mondo e senza biodiversità non avremmo nessun valore aggiunto. Con una battaglia limitata ai prezzi noi italiani  –  fra costi di manodopera ed energia e costi della burocrazia  –  saremmo certamente perdenti. L’agroalimentare, la cucina, i monumenti e la nostra storia sono i soli beni che non possono essere delocalizzati. Sono la nostra vera ricchezza. Buttarli al vento sarebbe assurdo. Soprattutto nel momento in cui, con l’Expo 2015, il cibo italiano sarà in una vetrina visibile in tutto il mondo”.

I firmatari della petizione però non si arrendono: “l’innovazione in 50 anni diventerà tradizione”. Speriamo non si dicano sul serio o grazie all’innovativo kit per fare vino e formaggi in casa avranno ben presto poco da coltivare e produrre.