Daniele Davì

ONG spiegone

 

“Fino a sei mesi fa metà degli italiani non conosceva la sigla Ong.”

Cecilia Sarti Strada

Facendo parte dell’altra metà, quella che conosceva la sigla ONG anche prima dell’emergenza migratoria degli ultimi anni, azzardo il mio spiegone, con acclusi esempi e parabole.

 
Una ONG – Organizzazione Non Governativa é per definizione -ripetetelo con me- una organizzazione non governativa. È dunque tautologico che non possa essere una organizzazione filo governativa. Il suo status giuridico ne impone l’indipendenza sia dai governi che da altri organismi internazionali. Non importa se il governo è buono, brutto o cattivo. Deve restare indipendente perché è stata fondata, funziona ed ha preso donazioni sulla base di questo principio che non può tradire. Sarebbe illegale e perseguibile se lo cambiasse.

Che un ministro, i suoi funzionari ed un intero paese -inclusi politici e giornalisti- non sappiano ciò, non è credibile. E’ demagogico.

Una ONG per essere credibile, accettata, accreditata, riconosciuta ha l’obbligo di restare indipendente e neutrale. Ed opera già nella piena ottemperanza del diritto internazionale e delle leggi nazionali dei luoghi in cui si trovano i suoi operatori. Per poter agire in scenari di guerra, “aiutarli a casa loro”, piazzare un ospedale a pochi chilometri da un conflitto necessita di essere neutrale e di essere percepita senza ombra di dubbio come tale. E necessita di restare neutrale qualunque siano le pressioni che i governi -in vario modo- provano a fare su di esse. Proposte, ricatti, patti sotto banco, protocolli.

Diversamente sarebbe inutile. Diversamente non sarebbe pensabile il mondo delle ONG.
Se per esempio Medici Senza Frontiere o Emergency firmassero un protocollo d’intesa con la Russia, ed accettare di avere un commando di militari russi in pianta stabile all’interno del proprio ospedale’tenda in Siria, il militare americano o di un paese europeo (che, sempre per esempio, ha votato a favore delle sanzioni alla Russia), potrebbe avere l’ordine di non farsi curare lì e se ferito lasciarsi morire. O non avrebbe fiducia nei medici che operano sotto il comando del nemico. O al contrario potrebbe avere làordine di introdursi nell’ospedale a fini di spionaggio. L’ospedale diventerebbe un target militare avendo militari al proprio interno. Stessa cosa succederebbe in mare se vi fossero dei militari di questo o quel paese a bordo.

Si potrebbe dire: va bene, se non si può essere filo-governativi non si dovrebbe essere neanche ostili. Ma è proprio la neutralità nei confronti di tutti che evita di essere ostili nei confronti di qualcun altro. Nessuno fa una colpa alla Svizzera, (dovremmo?) per la sua eccessiva neutralità. Una ONG non fa massacrare i propri operatori ove questi sono percepiti come ostili. O almeno prova a tutelarli. E per avere qualche chance di riuscirci deve mantiene la propria neutralità e indipendenza da qualsiasi governo. Questo è un fattore decisivo, per svolgere con efficacia la propria missione, anche e sopratutto agli occhi delle popolazioni locali, uomini, donne, bambini, anziani. L’indipendenza evita ostilità, pregiudizio, diffidenza. Non ci sono divise, armi, comandi, caporali. Si collabora, esternamente e rispettosamente, con tutti i soggetti utili alla missione che intendono collaborare appunto, ma non si può cambiare ruolo. E vi sono già le norme ed i trattati internazionali che regolano tali rapporti.

Se una organizzazione criminale scegliesse di creare una ONG per mascherare i proprio loschi affari, non va chiama “ONG ostile” bensì organizzazione criminale. Anche per questo vi sono già leggi nazionali e internazionali che permettono intercettazioni, indagini, perquisizioni, sequestri. Come per ogni crimine. Senza bisogno di inventare il nuovo tormentone delle “ONG ostili”.

D’altra parte, se per essere non ostile ogni ong dovesse imbarcare militari e armi di tutti i paesi le cui acque territoriali lambiscono le acque internazionali in cui opera, oltre a non essere più efficace,  dovrebbe imbarcare -nel solo Mediterraneo per esempio- militari non solo italiani, ma anche albanesi, greci, turchi, ciprioti, siriani, israeliani, libanesi, egiziani, tunisini, algerini, marocchini, spagnoli, gilbertesi, maltesi, francesi, monegaschi. Ad esser precisi anche sloveni, croati e montenegrini. Tutti paesi sovrani e con legittimi interessi nel Mediterraneo oltre che coinvolti in vario modo nei flussi migratori in corso. E se un paese come la Libia, sempre per esempio ha due governi entrambi internazionalmente riconosciuti (o al contrario nessuno riconosciuto) che sono praticamente in guerra fra loro, che si fa?

“Benvenuti a bordo! Anche voi su! Dai che ci si fa una bella spaghettata! Tutti insieme appassionatamente con armi e fucili, berretti e stendardi! Per salvare vite umane non c’è più spazio ma vantiamo il rispetto di protocolli con tutti i paesi!”

Esagerazione? Paradosso? Pasticciaccio.
Ridimensioniamo. Supponiamo, più realisticamente  che per operare tra Italia e Libia, l’Italia chieda per assurdo a delle ONG di firmare un protocollo che richieda la presenza di militari italiani a bordo. Militari con le loro armi. “E se la ONG non accetta – ahah! – ecco la ONG canaglia! Ha qualcosa da nascondere! Chiedete tutti scusa!”
Forse, a informarsi bene, non è proprio così.

Inoltre, date le minacce del generale Khalifa Haftar all’Italia, la nave umanitaria di una ONG che -per inciso non ha mi preso un soldo dallo stato italiano, né da altri stati- si troverebbe ad essere 1) bersaglio di guerra da una parte e 2) strumento di supporto militare dall’altra. Ci si chiede: i militari a bordo avrebbero l’obbligo di seguire gli ordini del comandante della nave e del suo equipaggio? Anche se questi sono soggetti di un paese terzo? Sono soggetti alla giurisdizione internazionale e al diritto della navigazione marittima? Hanno regole d’ingaggio diverse? Oppure il capitano della nave non opera più secondo la propria responsabilità e discernimento ma sotto il comando dei militari o della nave militare più vicina alla propria? E ancora… un cargo battente bandiera liberiana può avere militari italiani a bordo? E se sì, bisogna cambiare bandiera? Che pasticcio, signor ministro.

E la confusione non finisce qui. Come già detto, legittimamente anche la Libia, paese sovrano, avrebbe diritto di chiedere il rispetto di un omologo protocollo a suo favore. Dunque mettendo da parte la logica italo-centrica tipica degli anni venti (sia del XX secolo che del XXI) consideriamo gli aspetti analoghi. La ONG deve firmare un protocollo d’intesa col ministro dell’interno libico. Popolazione libica infuriata e sospettosa se la ONG non imbarca militari libici a bordo. Anche i libici hanno feisbuk e politici demagoghi e fanno pressione. Ai loro occhi la ONG è “buona”, “trasparente”, “non collusa con la mafia italiana” e quindi non ha problemi a firmare. Militari libici a bordo! “E’ una cosa pazzesca” direbbe la parlamentare in preda all’isteria. E quando la nave entra in acque italiane o approda in porti italiani per consegnare i superstiti, a quali leggi e comportamenti sarebbero sottoposti i militari libici? Alle loro, proprie regole d’ingaggio e agli ordini dettati dal proprio comando militare, no? Ma sarebbero in territorio o acque italiane.
Che pasticcio signor ministro. Lei ha proprio nostalgia dei marò.

Continuiamo. “Two is megl’ che one” recitava un famoso spot di gelati. E se la ONG volesse rimanere neutrale e bilanciata, equidistante, nemica di nessuno, e volesse firmare entrambi i protocolli d’intesa, imbarcando entrambi gli equipaggi militari, italiani e libici, quali sarebbero i rapporti formali fra questi? Chi dirimerebbe le tensioni? Nessuno. Perché non si tratta di missione internazionale, non c’è un comando ONU o NATO o interforze il cui comando sia stato concordato. Non c’è neanche un accordo valido e riconosciuto fra i due paesi. Anzi, la Libia -uno dei suoi governi- protesta alle Nazioni Unite riguardo la presunta volontà italiana di violarne la sovranità.

Proprio così, all’ONG potrebbe essere chiesto di firmare intese con entrambi i paesi ma questi paesi non hanno nessun accordo reciproco. Non al riguardo almeno. Accordo che -ripetiamolo- nel caso delle ONG farebbe venir meno lo status giuridico di organizzazione indipendente.

Bisogna inoltre ricordare che una ONG solitamente opera in un contesto di conflitto o tragedia umanitaria. Nelle acque internazionali tra Italia e Libia vi sono entrambe le situazioni. Non mi dilungo qui su chi siano i vari attori del conflitto in corso, (che lo vediate esplicitamente o no, c’è un conflitto in corso) dirò solo che la situazione non si riduce a guardie e ladri. Che la criminalità -multinazionale indisturbata operante a fini di lucro a cui nessuno chiede di rispettare protocolli né tanto meno si attiva a contrastarle con solerzia ed energia- non è l’unica ad avere interessi. Sia geografici, sia politici, sia strategici, sia finanziari, sia micro e macro economici, sia sociali.

La situazione è complessa e non vi era necessità di complicarla ancora di più a meno che di non voler seguire il consenso pre-elettorale e cavalcare rabbia, ignoranza, xenofobia, odio, esasperazione, e ripetiamolo tanta, tant ignoranza. Ogni ONG operava e opera oltre che nel rispetto del diritto internazionale in collaborazione con e sotto il coordinamento della Guardia Costiera Italiana. Reciproco rispetto, collaborazione, indipendenza. Le ispezioni e perquisizioni a bordo, sono prerogativa dell’autorità giudiziaria che può e deve vigilare, indagare, perquisire. Come ha sempre potuto fare.
Semplice, lineare, corretto. Ma non fa notizia.

Ecco un altra cosa che non fa notizia. Scroccare passaggi.
Lo stato italiano, che in molti altri ambiti è abituato ad abusare delle risorse e delle energie dei privati (sapete quanto risparmia col sostituto d’imposta?), aziende, società, organizzazioni e soggetti di paesi terzi, per risparmiare sugli investimenti, servizi, infrastrutture, controllo del territorio, imbarcazioni, equipaggi ed equipaggiamenti, viveri, gasolio… invece che provvedere con adeguati, ma impopolari investimenti, vorrebbe -supponiamo sempre per assurdo- scaricare questi costi su altri, tipo le ONG, senza neanche troppa dietrologia su chiunque capiti a tiro. A questo punto ecco che il mondo delle ONG si divide in due. Chi offre passaggi e chi no. 

Infine, c’è anche da rimarcare e ricordare che, a differenza del resto d’Europa, l’Italia e tutte le Forze dell’Ordine, Militari, Marina, Guardia Costiera, Esercito, Polizia, hanno fino ad oggi salvato e contribuito a salvare decine di migliaia di profughi. Professionisti della difesa e non, che meritano la nostra gratitudine e non meritano il fango che i politici per colpa dei loro pasticci elettorali  provano a versargli addosso di rimando. Non esistono rapporti conflittuali tra Marina Militare Italiana e ONG. Né tra altre Forze dell’Ordine e ONG. Esistono invece rapporti di conflitto fra ministri del medesimo governo (Del Rio – Minniti).
La collaborazione a volte viene chiesta e otenuta anche dai servizi, che nelle situazioni di crisi possono beneficiare di contatti, informazioni sul campo e aiuti tramite le ONG proprio in virtù della loro neutralità e presenza stabilizzatrice. Restano gli unici osservatori ed avamposti di civiltà in luoghi in cui nessuno vuol mettere piede. Ma questo aspetto, che non ci sarebbe neanche bisgono di menzionare, ai politici non interessa. 

Esistono solo nemici, cattivi, ladri, finti buonisti, capri espiatori, buffoni fricchettoni, ONG canaglie create ad hoc, nemico comune collettivo creato dal circolo vizioso e dal circo mediatico a fini politici, elettorali, di audience, di distrazione collettiva ed estiva. 

 
Medici Senza Frontiere è presente “a casa loro” con progetti di cura e assistenza. Slavini non può permettersi di attaccare chi ogni giorno salva vite umane in zone a rischio. Per lui Africa è solo una parola che serve a creare slogan insulsi che colpiscano alla pancia.

Roberto Saviano

 

Alla fine soltanto tre su dieci ONG hanno firmato il protocollo del ministero dell’Interno, mentre le altre continueranno a operare normalmente.